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Fegato, l’organo che depura e compensa i nostri errori (tipo l’alcol), ma non per sempre

Dieta mediterranea ed esercizio fisico sono i capisaldi, ma l’alcol è un forte rischio. Fondamentale anche difendersi dalle epatiti virali.

Controlli semplici consentono di monitorare la funzionalità del fegato che non dà sintomi quando ha problemi.

Fa il «lavoro sporco» per tutto l’organismo, depurandolo dalle tossine e metabolizzando i farmaci; è una centrale energetica fondamentale che controlla il metabolismo di grassi, carboidrati e proteine; produce fattori della coagulazione e altri composti indispensabili; è un deposito per sostanze che vanno dal glicogeno, un’importante riserva energetica, a minerali come il ferro.

Raccomandazioni

Il fegato, la ghiandola più grande del nostro corpo, non è soltanto un filtro come molti pensano, ma un organo dalle tantissime funzioni che per giunta non si lamenta mai: ha una tale capacità di compensare i danni che gli vengono inflitti da non dare segno di cedimenti per lunghissimo tempo. Così, il rischio di accorgersi che qualcosa non va quando è troppo tardi è concreto. Evitarlo però è possibile, come hanno spiegato gli esperti durante l’incontro di Corriere Salute «Le regole per un fegato sano», che si è tenuto nei giorni scorsi ed è visibile in streaming su Corriere.it: le raccomandazioni in fondo sono le stesse che servono a garantirsi una buona salute in generale, perché come ha sottolineato Massimo Alberto Iavarone, epatologo dell’Irccs Policlinico di Milano, «si tratta di fare attività fisica regolare e seguire la dieta mediterranea, riducendo i cibi industriali e i grassi e dando la preferenza a frutta e verdura».

I danni dell’alcol

«Per l’alcol non esiste una quota minima di sicurezza per il fegato , andrebbe evitato; a maggior ragione il consumo eccessivo e concentrato in 1-2 giorni alla settimana come oggi avviene spesso fra i giovanissimi e non solo. L’alcol provoca danni a lungo termine: abbiamo un fegato soltanto e, sebbene abbia un’ottima riserva di funzionalità, dopo anni il conto degli errori a tavola e dei drink si paga con un aumento del rischio di fegato grasso, o steatosi, e non solo».

Lasteatosi è molto comune, si stima riguardi dal 25 al 33% degli adulti; cambiando stile di vita si può risolvere, ma se non ci si prende cura del fegato il rischio è che il tessuto, «strangolato» dal grasso, si infiammi e che poi, nel tentativo dell’organo di riparare il danno, compaia la fibrosi, che si ha quando parti di tessuto si induriscono come se fossero cicatrici. Il passo successivo è la cirrosi , in cui la funzionalità del fegato è irrimediabilmente compromessa, e purtroppo con gli anni l’esito finale di questo percorso può essere un tumore, l’epatocarcinoma, che si sviluppa nel fegato a partire dalle aree danneggiate.

Cosa succede al fegato

Gli insulti al fegato da dieta sballata, alcol o anche infezioni virali (si veda sotto, ndr) innescano infatti la necessità di riparare la lesione e per farlo le cellule si duplicano, creando nuovo tessuto; anno dopo anno, quando il danno diventa cronico, qualcosa può andare storto perché lo stimolo a duplicarsi per guarire può «sfuggire di mano» e le cellule possono perdere la capacità di controllare la loro replicazione, trasformandosi in senso tumorale e dando origine al carcinoma epatico. Un’evenienza non rara, visto che si tratta del sesto tumore più frequente al mondo: come spiega Tiziana Pressiani dell’Unità di Oncologia Medica ed Ematologia dell’Irccs Humanitas Cancer Center di Rozzano (Mi), «ogni anno in Italia si registrano circa 10 mila nuovi casi di epatocarcinoma, pari al 90% di tutti i tumori epatici (i restanti sono metastasi epatiche di una malattia originata altrove, ndr). Il tumore può essere a lungo asintomatico, perché il fegato è grande e in presenza di un nodulo inizialmente piccolo può continuare a funzionare senza dar segno di problemi. Sottoporsi periodicamente a esami di screening per valutare la funzionalità epatica con esami del sangue ed ecografia è perciò importante, soprattutto in chi è più a rischio perché è sovrappeso o ha la steatosi epatica, ha avuto infezioni virali oppure è consapevole di avere uno stile di vita poco sano».

Terapie per il tumore

Diagnosticare in tempo un tumore al fegato significa spesso poterlo risolvere con la chirurgia o con un trattamento di radioterapia interventistica che «brucia» letteralmente il nodulo. «Il trattamento viene scelto in base alle caratteristiche del tumore e del paziente, tenendo conto di altre malattie concomitanti e delle condizioni generali di salute», dice Pressiani. «Quanto alle cure mediche, la chemioterapia tradizionale non viene usata nell’epatocarcinoma perché non è efficace; sono però disponibili nuovi farmaci a bersaglio molecolare e anche immunoterapici che “smascherano” le cellule tumorali per renderle visibili al sistema immunitario, che continuamente pattuglia l’organismo non solo a caccia di germi ma anche di cellule cancerose da eliminare. L’immunoterapia per l’epatocarcinoma consente un buon controllo della malattia e le terapie mediche oggi non si utilizzano più solo nei pazienti con forme avanzate di tumore non operabili, ma si stanno studiando anche in associazione alla chirurgia per ridurre la probabilità di recidive».

Le epatiti

Le epatiti A, B, C, E e delta, dal nome dei virus responsabili: infiammano il tessuto epatico e lo espongono a rischi seri. La A e la E, che si contraggono principalmente consumando cibi o bevande contaminate, possono dare infezioni gravi ma provocano per lo più un danno acuto che tende a risolversi; B, C e delta invece spesso non si manifestano con grossi sintomi al momento dell’infezione, ma possono dare epatiti croniche che danneggiano in modo permanente le cellule epatiche provocando fibrosi, cirrosi e aumentando il rischio di tumore. «Per l’epatite B c’è un vaccino, obbligatorio nel nostro Paese da decenni per i nuovi nati: oggi chi ha meno di 44 anni è protetto», specifica Massimiliano Conforti, vicepresidente di EpaC. «Questo virus ha una capacità riconosciuta di indurre tumori del fegato, l’obbligatorietà del vaccino è stata perciò una scelta vincente perché pian pano l’epatite B sta scomparendo».

Cure per le epatiti e screening

Non abbiamo i vaccini ma per le epatiti C e delta, che si associano a un grosso rischio di epatocarcinoma, esistono cure efficaci. La più nuova è quella per l’epatite delta, un farmaco capace di bloccare la replicazione virale e ridurre l’infiammazione; «Per l’epatite C c’è una cura in compresse che in 8-12 settimane è risolutiva in oltre il 95% dei casi» dice Massimiliano Conforti, vicepresidente di EpaC. «Proprio per la possibilità di eradicare il virus in questo modo, sono stati stanziati oltre 70 milioni di euro per lo screening in persone nate fra il 1969 e il 1989». Esistono vari progetti regionali, diretti per esempio a popolazioni a rischio come detenuti o persone seguite dai Servizi per le tossicodipendenze, e programmi in ospedali che offrono il test a chi viene ricoverato. «Sarebbe fondamentale far capire a tutti quanto sia preziosa l’opportunità dello screening», dice Massimo Alberto Iavarone. In Italia si stimano 100-150 mila positivi a un’infezione che spesso non dà sintomi ma da cui si può guarire con terapie gratuite e per cui non ci sono liste d’attesa».

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