Prematuri: molte le opzioni terapeutiche che permettono ai bimbi di superare le fasi critiche

Image
25/11/2021

Scriccioli. Nascono prima degli altri e nascono «in salita», come dice una mamma. Da soli non potrebbero farcela. Hanno bisogno di un’assistenza speciale, in un posto speciale, con persone e macchinari speciali. Hanno bisogno di avere accanto i loro genitori, come e più di qualsiasi altro bambino. Sono i neonati prematuri, quelli che vengono al mondo prima delle canoniche 37 settimane di gravidanza: 6,7 parti ogni cento sono pre-termine, dicono i dati Cedap (Certificati di assistenza al parto) del ministero della Salute relativi al 2019.

La Terapia intensiva neonatale (Tin) può diventare la loro «casa», anche per mesi. Un posto speciale dove si decide della vita o della morte. Evento abbastanza contenuto, quest’ultimo: «L’Italia è tra i Paesi al mondo dove si nasce meglio, con tassi di mortalità neonatale bassissimi (2,1 per mille nati vivi rispetto a 2,9 della Germania; 2,6 della Danimarca; 2,7 dell’Olanda e 2,9 dell’Inghilterra, dati Eurostat 2018)» ha ricordato il professor Fabio Mosca, past president della Società italiana di neonatologia (Sin) in apertura dell’ultimo Congresso nazionale, a Roma nell’ottobre scorso. «Certo esistono ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto per ridurre il divario tra i tassi di mortalità neonatale al Nord e Centro Italia rispetto al Sud Italia e alle Isole, ma la rete dei nostri punti nascita è tra le migliori in Europa».

I numeri sono confortanti, è vero. Ma che cosa significa, oggi, nascere prima in Italia? Come è organizzata la rete dei centri di Neonatologia? Quali sono le forze in campo e su quali risorse possono contare? E un genitore? Come ci si sente quando si arriva davanti alla porta di una terapia intensiva neonatale? Partiamo da qui. «Ti trovi precipitata in un mondo che non conosci, per di più in una situazione di emergenza. Un ambiente estremamente sofisticato, tecnologico, molto freddo, con una sensazione di grande paura perché hai paura ogni giorno che possa accadere qualcosa. Ma anche con un grande senso di protezione», racconta l’avvocato Martina Bruscagnin, mamma di una bimba nata alla 27° settimana e presidente di Vivere (vivereonlus.com), onlus che coordina 50 associazioni di genitori di bambini prematuri o ospedalizzati alla nascita.

Apriamo quelle porte, allora. Nel nostro Paese sono 118 le terapie intensive per 418 punti nascita (Libro bianco della neonatologia appena presentato dalla Sin, dati del 2019). «Ognuna di queste terapie intensive neonatali è l’hub di una serie di punti nascita che fanno riferimento a loro, quando un neonato si trova in condizioni critiche. Fortunatamente il numero dei trasferimenti dei bambini si sta riducendo sempre più nel tempo, perché sta funzionando meglio il trasferimento della madre direttamente verso un centro di secondo livello, appunto, dotato di tutte le caratteristiche per poter assistere una gravidanza patologica» spiega il dottor Luigi Orfeo, neopresidente di Sin. «Hub and spoke», come il mozzo e i raggi di una ruota: così è organizzata la neonatologia italiana. «In realtà abbiamo due livelli: il primo livello è un punto nascita che è in grado di assistere una patologia non grave, cioè bambini con piccoli problemi che si possono verificare immediatamente dopo la nascita, alterazioni metaboliche come l’ipoglicemia o l’ipocalcemia o un ittero particolarmente elevato. Il secondo livello invece è in grado di assistere i bambini prematuri con insufficienza di vari organi che possono essere causati, tra le altre cose, dalla prematurità. Ma anche da situazioni pregresse come le malformazioni congenite che poi richiederanno la chirurgia. Per esempio le cardiopatie, che sono probabilmente il tipo di malformazione congenita più frequente nei nostri neonati».

Entriamo in una Tin. C’è un bambino in arrivo. «Quando ha bisogno di terapia intensiva, il bimbo viene portato in reparto per lo più assistito in una termoculla, un’incubatrice. Uno dei problemi principali dei neonati, soprattutto i prematuri è che necessitano di una temperatura costante perché tendono a disperdere calore molto facilmente. Un altro problema è l’insufficienza respiratoria. Questi bambini spesso hanno necessità di assistenza respiratoria e sono collegati a un ventilatore meccanico. Oggi tuttavia sono molto più frequenti le metodiche di ventilazione non invasiva, quindi senza intubazione endotracheale ma semplicemente con delle cannulette nasali che favoriscono la respirazione», spiega Orfeo. E mamma e papà come entrano in gioco? «Secondo le indicazioni della nostra società scientifica, ma anche gli standard europei, dovrebbero essere presenti senza limitazione di orario. Perché nel nostro caso i genitori non sono considerati dei visitatori ma parte integrante del percorso terapeutico».

In molti centri, le porte restano chiuse

La «presenza attiva del genitore accanto al bambino» è prevista nella Carta dei Diritti del bambino nato prematuro , riconosciuta dal Senato Italiano nel dicembre del 2010 (si veda la scheda). L’apertura delle terapie intensive 24 ore su 24, reclamata a gran voce dai genitori, si scontra però con una realtà diversa: è garantita, lo dice la Sin, in quasi il 90% delle strutture al Nord, percentuale che scende al 56% nel Centro Italia e al 34% dei centri del Sud. I motivi di tanta disparità? «Culturali, secondo me. Bisogna allargare i propri orizzonti. La presenza del genitore può creare nuove realtà più che problemi. Il genitore può anzi deve essere coinvolto nell’assistenza al bambino», dice Orfeo. Giusto. C he cosa possono fare nello spazio ovattato e ristretto di una terapia intensiva? «In alcuni casi alcune operazioni di banale accudimento anche nel bambino molto piccolo, cioè di 800-900 grammi: cambiare il pannolino, alimentarlo, pulirlo, massaggiarlo. Però l’orientamento è di coinvolgere sempre di più i genitori. E con il genitore sempre più presente cambia anche il modo di comunicare con gli operatori. La comunicazione è più aperta, continua».

Il ricovero di un bimbo in terapia intensiva non sempre è una storia a lieto fine. Lo abbiamo detto. E in questi casi (ma non solo), le associazioni dei genitori diventano un’ancora di salvezza. Per la maggioranza dei bimbi e dei genitori, invece, arriva il giorno del «domani potete andare a casa». Per molte mamme «è un po’ come recidere un cordone ombelicale», come scrive Elide Esposito co-autrice con il marito Peter Durante del libro «420 grammi. Storia di una nascita difficile» (Feltrinelli, 288 pg, 11 euro), un diario a due voci che racconta «in presa diretta» l’esperienza di avere un figlio nato prematuro. «Ma noi non le abbandoniamo», assicura Orfeo. «Continuiamo a seguirli. Su tutto il territorio nazionale sono operativi gli ambulatori di follow-up del neonato pretermine. In genere la maggior parte di questi programmi di assistenza si interrompono però intorno ai tre anni, mentre andrebbero invece prolungati almeno fino

L’assistenza dopo il ricovero

«Avremmo bisogno di poter prolungare l’assistenza almeno fino ai 5-6 anni», dice Luigi Orfeo, che è anche direttore dell’Uoc di Pediatria, Neonatologia e Terapia intensiva neonatale, Ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli - Isola Tiberina di Roma. Perché? «È un arco di tempo abbastanza lungo per riuscire a identificare tutta una serie di problemi. Nei primi anni sostanzialmente vediamo quelli gravi. Naturalmente molti di questi bambini possono avere poi nel tempo altri problemi legati a disturbi di apprendimento. Di tutte queste cose ovviamente noi non possiamo accorgercene nei primi tre anni di vita, invece un follow up leggermente prolungato almeno fino ai 5- 6 anni di vita potrebbe intercettare anche le problematiche che si manifestano più tardivamente». E voi riuscireste a farlo? «Sì, se avessimo adeguato personale medico e infermieristico e mezzi, con il supporto naturalmente di altri specialisti, psicologhe, fisioterapisti, neuropsichiatri infantili perché il follow up è comunque multidisciplinare. Ma a stento le nostre forze ci consentono di proseguire fino ai tre anni del bimbo». Senza contare che non sempre queste attività sono inquadrate in un Pdta (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale). «Questa è un’altra rivendicazione della Sin: c hiediamo percorsi specifici per il follow up del neonato».

La Giornata mondiale

«Zero Separation. Act now! Keep parents and babies born too soon together», che in italiano diventa «Zero separazione. Agiamo adesso! Tieni insieme genitori e bambini nati troppo presto», è il claim scelto dalla Fondazione europea per la cura dei neonati (Efcni) per la Giornata mondiale della prematurità che si celebra il 17 Novembre. Per l’occasione, molti monumenti sono illuminati di viola, il colore della manifestazione, sinonimo di sensibilità ed eccezionalità. Simbolo della Giornata mondiale, invece, è il filo con i calzini stesi sopra. Il piccolo paio di calzini viola - in mezzo a nove calzini per neonati a grandezza naturale - significa: 1 bambino su 10 nasce prematuro. In tutto il mondo. Maggiori informazioni reperibili su www.efcni.org e vivereonlus.com.

 

Fonte: https://www.corriere.it/salute/pediatria/21_novembre_24/prematuri-molte-opzioni-terapeutiche-che-permettono-bimbi-superare-fasi-critiche-c7227cf6-3d54-11ec-9b6f-739aa46e3fb5.shtml