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Encefalopatia da trauma cranico: pericolo anche per sport amatoriali dei ragazzi. Quali le attività a rischio

Il più ampio studio mai condotto su cervelli donati da giovani atleti mostra che i primi segnali di encefalopatia traumatica cronica (CTE) sono presenti in sportivi che praticano football, calcio e hockey su ghiaccio anche a livello dilettantistico.

Non solo giocatori di football americano. E non solo atleti professionisti. L’ encefalopatia traumatica cronica, nota come CTE, una sindrome provocata da ripetute commozioni cerebrali (concussion in iglese), colpisce già in giovane età. Lo rileva il più grande studio mai condotti finora sulla malattia neurodegenerativa sui giovani pubblicata su Jama Neurology.

I sintomi

La malattia può essere formalmente diagnosticata solo con un’autopsia e i sintomi spaziano dal deficit di attenzione e prestazioni cognitive ridotte alla perdita di memoria , dalla depressione con tendenza al suicidio all’alterazione della personalità, dalla confusione e difficoltà nel linguaggio all’aggressività, fino ad arrivare alla demenza e all’Alzheimer.

A differenza degli studi precedenti che hanno esaminato l’encefalopatia traumatica cronica principalmente tra i giocatori professionisti di football americano, in questa ricerca la gran parte degli atleti coinvolti (71,4%) erano dilettanti e giocavano a livello amatoriale nelle squadre dei licei o delle Università. La maggior parte dei donatori in questo studio giocavano a football americano (60%), il 15% giocava a calcio, il

10% a hockey su ghiaccio. Altri donatori che hanno ricevuto la diagnosi post mortem di CTE praticavano il wrestling amatoriale e professionistico e il rugby. Il merito di aver portato il mondo a conoscenza della sindrome spetta al film denuncia del 2016 «Zone d’ombra» con Will Smith, che ha raccontato la storia vera del neuropatologo Bennet Omalu, che cercò in ogni modo di portare all’attenzione pubblica la CTE.

Il 40% dei cervelli esaminati avevano già segnali di CTE

I ricercatori del CTE Center dell’Università di Boston hanno scoperto più di 60 casi di encefalopatia traumatica cronica in atleti che avevano meno di 30 anni al momento della loro morte. Nel dettaglio gli scienziati hanno descritto le caratteristiche di 152 cervelli donati alla banca del cervello UNITE, il più grande deposito di tessuti al mondo, tra il 1 febbraio 2008 e il 31 settembre 2022. È emerso un dato inquietante: 63 dei 152 cervelli donati, ovvero poco più del 40%, avevano già segnali di CTE lieve, allo stadio 1 oppure allo stadio 2. A soli tre atleti è stata diagnosticata la CTE al terzo stadio: uno era un ex giocatore della National Football League (NFL), un altro giocava a football con la squadra dell’Università e il terzo praticava a rugby professionistico.

I dati di football americano, hockey su ghiaccio e calcio

I dati dimostrano ancora una volta che è il football americano lo sport più a rischio, a causa dei numerosi colpi alla testa che gli atleti subiscono. Nello specifico dei 152 donatori, 92 (60,5%) praticavano il football americano come sport principale. Di questi 92, ben 48 hanno ricevuto la diagnosi di CTE. Dei 12 donatori che hanno giocato a football a livello professionistico, 11 avevano la CTE e tutti avevano giocato nella NFL. Altri 37 donatori con CTE hanno praticato football americano in modo amatoriale come sport principale, 21 al college e 16 non hanno mai giocato dopo il liceo. La posizione giocata nel football americano non ha fatto alcuna differenza nello sviluppo della CTE, ma coloro che hanno giocato più a lungo avevano maggiori probabilità di ricevere la diagnosi della malattia: in media, coloro che avevano la CTE hanno giocato a football per 2,8 anni in più rispetto a coloro che non hanno sviluppato l’encefalopatia. Nello studio sono stati coinvolti anche 16 donatori che giocavano a hockey su ghiaccio, sei con CTE (uno di loro, in fase 2, giovava nella National Hockey League). Quattro dei 23 atleti che giocavano a calcio avevano la CTE.

Le donne

Solo 11 dei 152 donatori di cervello erano donne: una di loro, una studentessa universitaria di 28 anni giocatrice di football americano, con diagnosi di CTE. Proprio all’inizio di quest’anno gli scienziati australiani hanno diagnosticato il primo caso al mondo di CTE in un’atleta professionista, Heather Anderson, una giocatrice della Australian Football League di 28 anni morta suicida. L’atleta praticava questo sport dall’età di 5 anni. L’autopsia condotta dagli scienziati dell’Australian Sports Brain Bank ha diagnosticato una CTE di livello lieve.

L’età degli atleti con encefalopatia: il più giovane aveva 17 anni

L’età dei donatori al momento della morte variava dai 13 ai 29 anni. La persona più giovane a cui è stata diagnosticata la CTE era un ragazzo di 17 anni che giocava a football americano. La causa più comune di morte dei donatori, indipendentemente dal fatto che avessero o no l’encefalopatia era il suicidio, seguita da overdose.

L’esordio precoce della malattia

«Questo studio mostra chiaramente che la patologia della CTE inizia presto» ha affermato la dottoressa Ann McKee, coautrice dello studio e direttrice del CTE Center dell’Università di Boston. «Il fatto che oltre il 40% dei giovani atleti di sport di contatto nella banca del cervello UNITE abbiano l’encefalopatia traumatica cronica è un dato notevole». La scienziata ha inoltre sottolineato che gli studi delle banche del cervello sulla popolazione generale mostrano che meno dell’1% della popolazione generale ha CTE. In questo caso invece si sono focalizzati sugli atleti di sport da contatto.

I donatori di cervello deceduti prima di raggiungere i 30 anni sono stati selezionati per ridurre al minimo qualsiasi «inquinamento» derivante da condizioni legate all’età. Man mano che le persone invecchiano, infatti, si verificano cambiamenti neurodegenerativi legati all’età: studiare i cervelli più giovani ha dato la possibilità agli scienziati di osservare l’encefalopatia traumatica cronica senza altre patologie in comorbilità.

I numeri choc degli studi sui giocatori professionisti di football americano

«È ormai abbastanza riconosciuto che la CTE rappresenti un rischio per gli atleti d’élite di alto livello, in particolare per i giocatori di football», ha affermato McKee. «Tuttavia il nostro studio dimostra che la CTE può manifestarsi in atleti molto giovani che praticano solo sport da contatto a livello amatoriale». In uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno, il Centro CTE della Boston University ha rilevato che a quasi il 92% dei 376 ex giocatori della NFL studiati era stata diagnosticata la CTE. Un altro studio dello scorso giugno ha esaminato 631 cervelli di ex giocatori dell NFL rilevando che 451 (il 71%) presentavano CTE.

Danni al lobo frontale

L’ecefalopatia traumatica cronica è più spesso diagnosticata in persone che subiscono ripetuti colpi alla testa. La malattia è caratterizzata da depositi diffusi nel cervello di una forma anomala della proteina tau, tipica di alcune demenze. In questo studio appena pubblicato su Jama il danno maggiore è stato osservato nel lobo frontale. «Il lobo frontale ha un ruolo chiave nel giudizio e nell’attenzione oltre che nella pianificazione ed esecuzione di azioni. Potrebbe avere anche un ruolo nell’impulsività» ha sottolineato McKee. Gli scienziati hanno anche osservato un’atrofizzazione del cervello.

Che cosa succede ai bambini

Non ci sono prove, al momento, che l’esposizione a colpi in testa in giovane età aumenti il rischio di sviluppare CTE. «Se qualcuno subisse 5.000 colpi alla testa giocando a calcio tra gli 8 e i 18 anni avrebbe lo stesso rischio di chi li subisce tra i 14 i i 24 anni» ha spiegato Julie Stamm, professoressa all’Università del Wisconsin-Madison intervistata dalla Cnn. Tuttavia quando un bambino comincia a giocare, in particolare a football, fin da piccolo e prosegue in adolescenza e in età adulta il rischio di sviluppare la malattia aumenta. «L’esposione cumulativa nel corso della vita a traumi cerebrali ripetitivi è il maggior fattore di rischio per la CTE» dice Stemm. Secondo i dati il rischio di sviluppare l’encefalopatia traumatica cronica raddoppia ogni 2,6 anni.

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