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Ictus, come funziona la stimolazione cerebrale profonda nella fase post-acuta;

Uno studio americano indica che una microstimolazione elettrica mirata, già utilizzata nella malattia di Parkinson, può dare buoni risultati nel recupero motorio anche a distanza di tempo.

L’ictus può avere conseguenze psicofisiche devastanti per chi ne è colpito e per la sua famiglia, alle quali si aggiunge l’elevato gravame socioeconomico che questo evento comporta, prolungandosi spesso per anni se non a vita. Uno studio appena pubblicato su Nature Medicine dai ricercatori dell’Università americana di Cleveland diretti da AndreMachado indica che tutto questo potrebbe essere contenuto grazie alla microstimolazione elettrica del nucleo dentato, una piccola area del cervelletto, centro cerebrale d’eccellenza per l’integrazione delle vie motorie attraverso la via nervosa chiamata cerebello-talamo-corticale. Finora sono stati fatti grossi passi avanti nella prevenzione dei fattori di rischio e nella gestione dell’ictus acuto, ma poco si poteva fare nella fase post-acuta, un problema che invece questa innovazione può risolvere.

Prevenzione

Come sottolineato alla Giornata Nazionale della Neurologia indetta il 22 settembre dalla SIN (Società Italiana di Neurologia) quasi il 90% degli ictus possono essere evitati correggendo fattori di rischio come ipertensione arteriosa, obesità, diabete, fumo, sedentarietà ed alcune anomalie cardiovascolari. Correggere l’ipertensione dimezza il rischio, perdere peso lo fa calare del 19% e abbandonare il fumo del 12%.

Trattamento acuto

Un grosso passo avanti nel trattamento acuto è stato l’istituzione capillare delle Stroke Units, reparti che sanno gestire il paziente in maniera multidisciplinare (neurologo, neurochirurgo vascolare, radiologo, neurofisiologo, ecc.) con nuovi farmaci da usare nella finestra temporale delle poche ore successive utili a salvarlo, così come nella sua gestione successiva dove un ruolo importante hanno le possibilità di monitoraggio con le nuove tecniche di neuroimaging e quelle di riabilitazione sempre più integrate con l’intelligenza artificiale che si avvale pure della realtà virtuale.

Fase post-acuta

Non altrettanto si può dire però per la fase post-acuta in cui, nonostante tutti gli sforzi e gli investimenti profusi, i miglioramenti sono stati più lenti e ancora oggi fino a metà dei pazienti sopravvissuti riporta disabilità croniche, spesso necessitando a lungo assistenza continua nella vita di tutti i giorni.

Dal nuovo studio emerge che nelle equipe delle Stroke Unit agli specialisti che già vi operano potrebbe aggiungersi anche il neurochirurgo funzionale, lo specialista che riesce a manipolare le funzioni del cervello grazie a microimpulsi elettrici come quelli della DBS. Si tratta della Deep Brain Stimulation, cioè stimolazione cerebrale profonda una tecnica già in uso per la malattia di Parkinson, l’epilessia, la depressione o la cefalea a grappolo cronica farmacoresistenti nelle quali occorre rimettere in sesto il funzionamento dei neuroni con una piccola stimolazione elettrica che fa recuperare anche la risposta ai farmaci diventati ormai inefficaci.

Impulsi

Grazie alle moderne apparecchiature di centratura intracranica basate sulla risonanza magnetica il neurochirurgo funzionale può posizionare con una precisione ultramillimetrica gli appositi microelettrodi su cui viaggiano gli impulsi stimolatori. Per quanto riguarda la loro durata e intensità l’esperienza degli ultimi anni ha insegnato quali parametri standardizzare nel Parkinson, nell’epilessia, nella cefalea a grappolo e in tutte le altre malattie trattate finora. 30 HERTZ. Lo stesso avverrà in questo caso, ma pare che i ricercatori americani abbiano già individuato quelle giuste: con 30 Hertz per 20-24 mesi hanno ottenuto a distanza 1-3 anni dall’ictus una significativa riduzione del deficit motorio per il quale sembrava non ci fosse più nulla da fare, con miglioramenti anche in chi al momento dell’arruolamento nello studio aveva scarsi punteggi alle scale di valutazione e una prognosi sfavorevole. Chi poi all’arruolamento conservava un certo grado di funzione motoria distale, cioè usava meglio le mani, ha avuto un vantaggio ancora maggiore. Risultati confermati per tutti anche dalle migliori prestazioni riportate dopo un periodo di 3 mesi di riabilitazione mirata a verificare il recupero della funzione danneggiata, soprattutto quella motoria distale. A ulteriore conferma ci sono anche le valutazioni di imaging con PET/TAC che hanno evidenziato un migliorato metabolismo cerebrale nelle aree motorie chiave dopo la stimolazione DBS. Tutti risultati che nei pazienti del gruppo placebo di confronto non si sono visti.

Tempo e genere

Il tempo trascorso fra l’ictus e il trattamento con DBS associato a riabilitazione non sembra influire così come il genere: 4 dei 12 pazienti erano donne, di solito più difficili da recuperare da un ictus rispetto ai maschi. La stimolazione DBS del nucleo dentato cerebellare sembra dunque allargare la finestra d’intervento delle cosiddette golden hours, le ore d’oro oltre le quali non si recupera più il paziente.

Neuroplasticità

«Questo trattamento sembra migliorare i processi di adattamento e di recupero da danno ischemico cerebrale attraverso il fenomeno della neuroplasticità che può essere risvegliata anche molto tempo dopo l’evento acuto — commenta Mauro Silvestrini, Presidente della Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche e dell’Italian Stroke Association — Il buon risultato ottenuto dovrà essere confermato su gruppi più ampi di pazienti ma, ancora una volta, dimostra l’importanza di trattarli per periodi anche lunghi al fine di promuoverne il recupero e va sottolineata l’importanza di approcci non invasivi e in particolare della riabilitazione». A onor del vero va detto che sono stati proprio i ricercatori italiani ad aprire 9 anni fa la strada della neurostimolazione nell’ictus ottenendo risultati simili a questi, ma con un altro tipo di stimolazione più semplice e non invasiva: la tDCS, acronimo di transcranial direct current stimulation, cioè stimolazione transcranica a corrente diretta e il Corriere gli aveva dedicato un articolo: Lo studio con tDCS era fatto su pazienti che avevano avuto l’ictus un anno prima e Alberto Priori che l’ha condotto, oggi all’ospedale San Paolo di Milano, continua a utilizzare la tecnica sempre con buoni risultati.

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