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Il cibo, nostro amico

L’alimentazione è una funzione biologica di base che accomuna tutti gli esseri viventi; nell’uomo, però, si carica di significati e di simboli.

Oltre agli aspetti culturali, emotivi e psicologici che condizionano le scelte alimentari di ciascuno, altrettanto importanti sono le percezioni sensoriali: con la vista si sceglie un cibo per il colore e l’aspetto; con il tatto, durante la masticazione, si sente la consistenza, friabile, croccante, morbida, succosa, di un alimento; mentre si mangia, con l’udito si arricchiscono le informazioni sensoriali. L’olfatto e il gusto sono i sensi protagonisti: quando le sostanze odorose durante la masticazione arrivano alle cavità nasali si sviluppa l’aroma, mentre, percepiamo il gusto del cibo grazie alle papille gustative, capaci di riconoscere i quattro sapori fondamentali, dolce, amaro, salato, acido.

Il cibo non può essere considerato solo come l’insieme di nutrienti necessari all’organismo, ma piuttosto come occasione di benessere psicofisico e opportunità di relazione con gli altri. Mangiare con calma, in compagnia, in un ambiente sereno, senza rumori fastidiosi, chiacchierando tranquillamente sono le condizioni ideali per gustare quello che c’è nel piatto e per vivere il rapporto con il cibo senza problemi o conflitti.

Non tutti sanno che tra psicologia e alimentazione esiste uno stretto legame dal quale è impossibile prescindere e come, sia sempre più importante una maggior collaborazione tra psicologi e professionisti della nutrizione. Lo psicologo è il professionista del benessere psicologico, della relazione d’aiuto e il suo obiettivo principale è quello di migliorare la qualità di vita degli individui. Lo psicologo sostiene, la persona aiutandola a capire, riattivare e consolidare le proprie capacità, energie e risorse, e permettendole di trovare soluzioni e di attenuare il disagio che prova.

A qualsiasi età, può accadere che una persona inizi a manifestare sintomi di malessere psicologico attraverso dei comportamenti alimentari disfunzionali. Il cibo diventa così un “veicolo” che porta con sé dei chiari messaggi di disagio; quando questo disagio aumenta, può sfociare in un vero e proprio disturbo.

Tali disturbi sono caratterizzati da un comportamento anomalo verso il cibo, da una percezione alterata del proprio corpo e dalla conseguente preoccupazione per il proprio peso e aspetto fisico.

I disturbi alimentari possono avere cause e conseguenze psicologiche legate a problemi di autostima e, in alcuni casi, sono associati a disturbi d’ansia e depressione.

Soffrire di DCA, inoltre, può portare a gravi conseguenze fisiche e innescare anche problemi gastrointestinali, cardiovascolari ed endocrini.

Tra tutti i disturbi alimentari i più diffusi sono:

  • obesità;
  • anoressia nervosa;
  • bulimia nervosa;
  • binge eating disorder

Le cause di questi disturbi sono multiple e chiamano in gioco fattori:

  • genetici;
  • metabolici;
  • ormonali;
  • psicologici;
  • sociali.

Difficile da credere, ma mangiare consapevolmente non è una dieta. La “mindful eating” non da menù o ricette. La maggior parte di chi vuole mangiare in modo più sano e migliorare il rapporto con il cibo, finisce per vedere la dieta come un percorso di restrizione e non di equilibrio.

“Mindfulness” è un termine diventato comune nel nostro linguaggio quotidiano, ma il suo significato è più profondo di quel che pensiamo: è un metodo per incoraggiare a prendersi cura di sé stessi; a pari passo, la “mindful eating” incoraggia a prestare attenzione al cibo senza giudizio. È un approccio agli alimenti che insegna come magiare, portando piena attenzione, presenza e consapevolezza su cibo ed esperienza alimentare. Non ha a che fare con calorie, carboidrati, grassi o proteine. Lo scopo di un’alimentazione consapevole non è la perdita di peso, nonostante accada seguendo questa via, l’intenzione è aiutare le persone a gustarsi il momento e il cibo al di là di qualsiasi etichetta, incoraggiandone la piena presenza per assaporare l’esperienza alimentare.

La Mindful Eating utilizza la consapevolezza, o l’essere presenti, per aiutare a superare i problemi alimentari nelle nostre vite. L’obiettivo è spostare l’attenzione dal pensiero esterno sul cibo all’esplorazione dell’esperienza alimentare.

Quando mangiamo senza pensare? Ecco alcuni esempi:

  • mangiare di continuo, fino ad essere pieni o sentirsi male;
  • mangiare senza assaporare il cibo;
  • non prestare attenzione a ciò che mangiamo, poiché troppo spesso siamo distratti durante i pasti (TV, lavoro, poco tempo per mangiare);
  • avere difficoltà a ricordare il gusto, l’odore e l’aspetto del pasto che hai abbiamo mangiato.

Sviluppare un approccio più consapevole al cibo può aumentare il piacere dei pasti, ridurre l’eccesso di cibo e favorire una buona digestione.

Inoltre, può ridurre pensieri ansiosi che circondano l’alimentazione e migliorare il rapporto psicologico con il cibo.

Come praticare un’alimentazione consapevole?

Dare priorità all’orario dei pasti: impiegare almeno 15 minuti per sedersi e godersi il ??pasto; evitare la fretta: programmare il tempo per consumare il pasto quando si dispone di un arco temporale sufficiente; sedersi sempre a tavola: cercare di evitare di mangiare in piedi o davanti al frigorifero; servire il cibo su un piatto/ciotola: cercare di evitare di mangiare dalla confezione, dalla vaschetta del gelato, dal contenitore da asporto, ecc.; appoggiare le posate accanto al piatto e, tra un boccone e l’altro, fare uno sforzo consapevole per masticare bene il cibo; mangiare solo fino a quando non siamo pieni all’80%, il che significa essere soddisfatto ma non eccessivamente pieni; prendersi del tempo per assaporare veramente il cibo: usiamo i nostri sensi; preparare i pasti ove possibile: preparare il cibo (toccare, assaggiare e annusare) può migliorare il nostro rapporto psicologico esso.

È altrettanto importante assumere un atteggiamento adeguato, per svolgere un’alimentazione consapevole:

  • atteggiamento non giudicante: avviare il processo del mangiare mettendo da parte ciò che conosciamo del cibo è la prima sfida;
  • pazienza: ci vuole tempo per essere presenti momento per momento, impariamo a rallentare il processo del mangiare per avere un’esperienza completa;

“Mente del principiante”: avvicinarsi alle proprie esperienze proprio come fa un bambino, con curiosità, questo ci consente di vivere le esperienze con apertura;

fiducia: notando e apprezzando ciò che sentiamo e le nostre risposte ai diversi cibi, accettando di più le nostre sensazioni; accettazione: sviluppare la volontà di notare ciò che accade e accettarlo è al centro del processo di consapevolezza, ciò potrebbe significare accettare cose positive e/o esperienze impegnative; lasciare andare: mangiare consapevolmente implica lasciar andare le aspettative passate, staccarsi da tutto ciò a cui ci siamo legati ci consente nuove esperienze senza il giudizio basato su esperienze accadute anteriormente.

Il rapporto conflittuale con il cibo può intrappolare in un loop comportamentale il soggetto: impegnarsi a seguire una dieta restrittiva, raggiungere un peso-forma, riprendere ad alimentarsi come il bisogno richiede, per poi riacquistare il peso iniziale, quasi sempre aumentato. Il peso oscilla su e già in modo cronico, generando un continuo stato di insoddisfazione interiore. Ciò induce a condannare eventuali trasgressioni favorendo l’insorgere e il consolidamento dei sensi di colpa. Si innesca così un circolo vizioso in cui il soggetto alterna momenti di restrizione alimentare ad altri di perdita di controllo. Conseguentemente si ha lo sviluppo di pensieri di sconforto e comportamenti che perpetuano l’obesità.

È l’inizio di quella che viene definita la sindrome yo-yo. Dopo un po’ di tempo, l’insoddisfazione della propria immagine porta alla ricerca di un’altra dieta, che illuda di raggiungere un dimagrimento efficace.

Analizzando le scelte alimentari, si può affermare che esistono cibi che soddisfano la fame soprattutto da un punto di vista psicologico: si tratta dei cibi ludici (patatine, noccioline, pop corn) che soddisfano l’inconscio bisogno di tener qualcosa in bocca, iniziando con il succhiare del pollice, proseguito con il mettere in bocca oggetti che hanno la funzione di passatempo, di evasione, che vengono succhiati e mordicchiati per rilassarsi; e di quelli ritualistici (tè, caffè, aperitivi) che hanno la funzione di scandire il tempo e i ritmi degli individui e vengono consumati in determinate ore della giornata.

Il cibo non rappresenta l’unico mezzo per regolare le emozioni. Pertanto, se non si ha più fame, si può lasciare un biscotto nel piatto, sapendo che, se ne si avrà voglia, potrà mangiarlo in seguito, perché il cibo è sempre disponibile per soddisfare un desiderio.

Ricordare: mangiare non è solo una questione di nutrizione, ma anche di flessibilità e di un buon rapporto con sé stessi, è un aspetto cruciale di un rapporto sano con il cibo.