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Trattamenti più efficaci per le mielodisplasie, tumori del sangue tipici degli anziani

Dopo decenni di stallo qualcosa si muove: molti studi su nuovi farmaci indicano miglioramenti nella qualità e nell’aspettativa di vita dei pazienti con una sindrome mielodisplastica.

Arginare il pericolo che la malattia evolva in una leucemia acuta e ridurre il continuo bisogno di trasfusioni causato dall’anemia grave di cui soffrono: sono questi i problemi più grandi da affrontare per chi soffre di una sindrome mielodisplastica e su entrambi i fronti ci sono importanti novità. «Dopo decenni di stallo, la ricerca scientifica è riuscita finalmente a fare progressi significativi in questo ambito e lo dimostrano gli esiti di vari studi presentati durante il congresso annuale dell’American Society of Hematology (Ash), appena concluso a San Diego (California) — commenta Paolo Corradini, presidente della Società Italiana di Ematologia (Sie) —. Il termine sindrome mielodisplastica, chiamata anche mielodisplasia, raggruppa un eterogeneo gruppo di rare patologie del sangue, molto diverse da paziente a paziente, che vanno da condizioni “indolenti”, cioè a lenta progressione che non fanno differenza sull’aspettativa di vita del diretto interessato, a casi che progrediscono rapidamente verso una leucemia mieloide acuta. Le complicazioni più rilevanti, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia, sono l’anemia, la piastrinopenia e le infezioni ricorrenti. Ogni anno in Italia ci sono circa 3mila nuove diagnosi, soprattutto fra persone con più di 70 anni, e il numero di malati è destinato a crescere insieme alla popolazione che invecchia».

Lo studio COMMANDS: migliorare l’anemia

Per tutte le mielodisplasie, la causa è sempre un danneggiamento delle cellule staminali del midollo osseo che non riescono a produrre una quantità adeguata di cellule del sangue funzionali e questo porta a una carenza di globuli bianchi, globuli rossi e/o piastrine. Ecco perché quasi tutti malati soffrono di anemia a livello tale da costringerli a frequenti trasfusioni, con un impatto molto negativo non solo sulla qualità di vita, ma anche sulla loro sopravvivenza. «Il primo passo avanti è stato nel 2020 con l’arrivo di un farmaco nuovo, luspatercept, già approvato e disponibile anche in Italia grazie al quale siamo riusciti a ridurre il fabbisogno trasfusionale dei pazienti» spiega Matteo Della Porta, direttore dell’Unità Leucemie all’Istituto Clinico Humanitas di Milano. Ad Ash 2023 sono stati presentati i dati finali dello studio di fase 3 COMMANDS che ha reclutato 354 persone con sindrome mielodisplastica a basso rischio di evolvere in leucemia, ma con un’anemia grave per la quale erano dipendenti da trasfusioni: «Gli esiti dimostrano la superiorità di luspatercept rispetto all’attuale trattamento standard, ovvero l’eritropoietina – dice Della Porta, autore principale della sperimentazione -: la nuova cura funziona in un numero maggiore di persone, oltre il 60% rispetto a poco più del 30%, e con una durata superiore (52 settimane verso 37). Infine è importante notare che luspatercept non presenta effetti collaterali significativi ed è quindi ben tollerato da pazienti spesso anziani e fragili».

Lo studio IMERGE: indipendenza dalle trasfusioni

L’indipendenza dalle trasfusioni era l’obiettivo a cui puntava lo studio IMERGE i cui risultati sono stati illustrati a San Diego epubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet: «Le conclusioni del trial su 178 partecipanti indicano l’efficacia di un nuovo farmaco, imetelstat (il primo nella sua “categoria”, è un inibitore delle telomaresi), nel trattamento dell’anemia severa delle mielodisplasie e la cura è riuscita a rendere libera da trasfusioni per circa un anno una quota significativa dei pazienti – spiega lo specialista -. Dopo 40 anni in cui non avevamo altro che eritropoietina (ma il 30% dei malati non è candidabile a riceverla oppure è refrattario, cioè non ne trae beneficio, e su un altro 30% ha un effetto molto limitato nel tempo) si sta ampliando molto il panorama dei trattamenti innovativi per l’anemia nelle sindromi mielodislpastiche. È un vuoto che va lentamente colmandosi, come hanno indicato diversi altri studi con nuovi medicinali differenti». Proprio per spiegare l’importanza di partecipare alle sperimentazioni cliniche e aiutarli a cogliere l’opportunità, l’Associazione Italiana Pazienti con Sindrome Mielodisplastica (AIPaSiM) ha appena redatto una guida gratuita dedicata a pazienti e familiari con informazioni utili, concrete e chiare.

Lo studio VERONA: ridurre il rischio di leucemia

Un altro problema rilevante, davanti a una mielodisplasia, è capire se il paziente ha una forma ad alto rischio di evolvere rapidamente i n leucemia acuta per poter calibrare di conseguenza le terapie, che vengono stabilite in base a diversi criter. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è l’unica cura definitiva, in grado di portare a guarigione, ma spesso è troppo pesante da tollerare per i pazienti, per lo più anziani e «fragili». «Abbiamo trattamenti che riescono a rallentare la trasformazione di una sindrome mielodisplastica in leucemia acuta, ma non funzionano per tutti i malati o hanno una durata limitata e quando si arriva alla fase leucemica la sopravvivenza media è di circa due anni – conclude Della Porta -. Numerosi studi cercano quindi soluzioni più efficaci proprio per chi presenta una mielodisplasia ad alto rischio e, fra i molti illustrati al congresso Ash 2023, appaiono particolarmente promettenti quelli del trial VERONA che vanno guardati con cautela perché ancora alle prime fasi di sperimentazione (Ib-II), ma che sono significativi. I partecipanti hanno ricevuto come prima linea di trattamento una combinazione nuova basata però su due farmaci già in uso: venetoclax (che sta rivoluzionando la cura delle leucemie acute mieloidi) e azacitadina (un chemioterapico). La cura è stata ben tollerata e un numero significativo di pazienti ne ha tratto un beneficio clinico».

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