La sofferenza psicologica che accompagna una diagnosi di cancro è notevole. Qualche volta spaventosa. E non soltanto per chi la diagnosi la riceve: il peso emotivo del cancro grava, e parecchio, anche su coloro che si prendono cura di chi ha il cancro. Uomini e donne che si trovano improvvisamente a dover sostenere il compagno di una vita tanto sul piano pratico, cioè nella gestione quotidiana della malattia oncologica, quanto su quello emotivo.
Della sofferenza psicologica dei coniugi di pazienti oncologici e del loro rischio di andare incontro a un disturbo psichiatrico – molto spesso è di tipo depressivo o ansioso – si è occupato uno studio pubblicato su Jama Nework Open: “Il nostro obiettivo – riferisce Qianwei Liu, ricercatore epidemiologo del Karolinska Institutet di Stoccolma, e tra gli autori della pubblicazione – è stato di valutare il carico complessivo dei disturbi psichiatrici tra un gruppo di compagni di pazienti con cancro e di descrivere i possibili cambiamenti di questo carico nel tempo”.
Lo studio
Lo studio ha coinvolto 546.321 coniugi di pazienti con un tumore diagnosticato dal 1986 al 2016 in Danimarca e dal 1973 al 2014 in Svezia, e 2.731.574 uomini e donne conviventi con persone non affette da cancro (coorte della popolazione generale) tutti con un’età media di circa 60 anni. Dall’analisi dei dati è risultato che nel corso di 8,4 anni hanno sviluppato un disturbo psichiatrico 7 coniugi di pazienti oncologici su 100 contro 5 nei compagni di persone senza cancro.
Nei 12 mesi successivi alla diagnosi, il rischio per i caregiver di andare incontro a disturbi psichiatrici è più alto del 30% rispetto a quello rilevato nella popolazione generale, e nel corso del periodo osservato è risultato maggiore del 14%. Nel primo caso l’incremento di rischio ha riguardato soprattutto depressione e disturbi stress-correlati, nel secondo anche l’uso di sostanze. In caso di prognosi peggiore, di malattia in fase avanzata o di decesso, il fenomeno è più accentuato. Tra i caregiver con problemi psichiatrici preesistenti, inoltre, il rischio di andare incontro a problemi di salute mentale di cui prima non si era mai sofferto è più alto del 23% rispetto a quello rilevato nel campione controllo.
Spostare l’attenzione: dal paziente alla famiglia
Come utilizzare questi dati? Secondo gli autori dovrebbero stimolare i medici a spostare l’attenzione sulla famiglia e a non focalizzarsi soltanto sul paziente. “Questo appena pubblicato è un lavoro interessante, ben fatto e che si presta a parecchie riflessioni”, commenta a Salute Massimo Di Maio, Segretario Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Direttore Oncologia dell’Ospedale Mauriziano, Università di Torino. “La maggior parte degli studi pubblicati sulla salute mentale dei caregiver indagano il livello di depressione utilizzando questionari ad hoc somministrati in maniera puntuale, cioè una tantum. Invece, in questo caso gli autori hanno condotto uno studio di popolazione: hanno calcolato il rischio nel primo anno di malattia e nel corso del follow-up, cioè sono andati a vedere cosa succede nel tempo”.
Non è certo la prima volta che il tema viene trattato. Ad ottobre 2022 erano stati pubblicati suPsyco-Oncolog y i risultati di una revisione di 35 studi (per un totale di 11.396 partecipanti) proprio sulla depressione dei caregiver di malati di cancro. “In quel caso – riprende l’oncologo – si arrivava alla conclusione che il problema psichiatrico era nettamente maggiore nelle donne caregiver che non negli uomini. Qui invece emerge il contrario: rispetto alla popolazione generale il rischio depressivo è più alto negli uomini, ed è tutt’altro che trascurabile”.
Prognosi, peso economico, fatica e isolamento
Le cause del fenomeno sono diverse. C’è un aspetto strettamente psicologico – riflette l’esperto – legato alla prognosi. E c’è anche una difficoltà socio-economica che influenza lo stato emotivo sia del paziente sia di chi se ne prende cura. Se chi si ammala è un libero professionista o comunque un lavoratore non garantito, il danno economico è immediato e pesa su tutta la famiglia, coniugi e figli: il cancro può impoverire. “Certo, è così, ed anche molto probabile che una quota del peso psicologico che il caregiver deve sostenere, e che lo studio appena pubblicato ha messo in luce, sia ascrivibile a questo fenomeno – ragiona l’esperto – oltre che, naturalmente, all’impegno fisico e organizzativo che, specialmente in alcune fasi di malattia, favorisce il senso di solitudine, di isolamento”.
Il supporto psicologico che ancora manca
Oggi in Italia non garantiamo un supporto psicologico adeguato ai pazienti e a chi si prende cura di loro: ci sono strutture che hanno un servizio di psico-oncologia in reparto, ce ne sono con un servizio di psicologia che copre diversi reparti e ci sono anche strutture in cui un servizio manca del tutto, e a supplire sono spesso le associazioni. “Chiunque si occupi oggi di cancro è consapevole che c’è bisogno di supporto psicologico anche per il caregiver, come Aiom e Fondazione Aiom hanno più volte enfatizzato in varie occasioni – conclude l’oncologo – Ma la sensazione è che il nostro tessuto assistenziale e sociale sia ancora debole rispetto a questo bisogno: molti caregiver rischiano l’isolamento, la solitudine per via del carico dovuto alla gestione familiare, vivendo loro stessi la loro condizione di sofferenza psicologica come se fosse quasi inevitabile, un destino. Ma non dovrebbe essere così, ci vorrebbe una rete di sostegno di protezione della salute mentale del caregiver, perché è giusto per il caregiver, e anche per il paziente”.